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Il Berretto a Sonagli
(di Luigi Pirandello)
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Regia di Fulvio Romeo |
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Stagione Teatrale: 2018/2019 |
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Data Debutto: 17 Maggio 2019 |
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NOTE DI REGIA
La Compagnia Occhi di Gatto, dopo il successo della pluripremiata “La dodicesima notte”, porta in scena “Il Berretto a sonagli”, appassionato, ironico capolavoro di Luigi Pirandello. Beatrice, moglie del benestante Cavalier Fiorica, vive in un paese del continente, dove da tempo si è trasferita dalla lontana Sicilia; convinta che il marito la tradisca con la sposa del suo scrivano e conterraneo Ciampa, da poco assunto e, allontanato quest’ultimo con una scusa, contro l’opposizione di servitù e familiari, (lo zio Fifì, la madre Assunta), ne favorisce un incontro, per dimostrare la verità di tale tradimento, denunciando i supposti amanti all’amica Spanò, delegato di polizia. Ma il verbale che verrà redatto sarà negativo. Ciampa, scoperto quanto accaduto, però, non si accontenterà di un semplice “pezzo di carta”: vorrà la pazzia di Beatrice per dimostrare, in modo assoluto, che la sua “fronte è sana, libera e sgombra”. Questa la trama della commedia di cui, invero, esistono molti, infiniti piani di lettura. La relatività della contrapposizione tra follia e sanità:“solo due aspetti di un unico aspetto”. L’uomo, attento sola a ciò che superfluamente utile, come Fifì, o “fino di comprendonio”, come Ciampa, essenza della tradizione, dell’apparire, forma suprema di realtà, poiché “si” è ciò che “si” appare agli altri, anzi, ciò che “si” pensa ad essi appaia. D’altronde, “pupi, siamo” e non basta esserlo “per spirito divino”, perché ci “si vuole fare pupi per contro proprio”, perché non si è mai contenti della parte assegnata, perché si vuole muovere i fili del proprio pupo. E i fili degli altri pupi. Ma nella commedia esiste un altro piano, poco frequentato: la condizione della donna: la sua volontà di riscatto sociale, di ribellione. Quella di Beatrice, ferita nella sua dignità dal tradimento che essa stessa vuole provocare, per dare corpo a ciò che è solo ipotesi, per tornare, di nuovo (o per la prima volta) libera. Quella della donna “comandata” come serva – Fana – che sa solo ciò che vede, ciò che sente e, infine, ciò che capisce o, ancora, quella della donna “comandata” come moglie – Nina, consorte di Ciampa – beffarda, possibile, fedifraga. Quella di Assunta, desiderosa di “mantenere l’abbondanza”, senza rischi o quella della Saracena, convinta di avere ridotto il marito a un cagnolino che la segue, della piccola Lucia, apparentemente indifferente alle ansie degli adulti. Allora, un riscatto improprio, anzi impossibile, quello di Beatrice perché “gli uomini vanno presi di fianco e non di fronte”, perché sono meritevoli solo di “una lezioncina” e non di altro. E la necessità di far riquadrare quell’equilibrio tra realtà e apparenza che Beatrice ha sovvertito, questa necessità assoluta che Ciampa richiede, imponendo la pazzia a Beatrice, la porta a quella sconfitta già annunciata dall’autorità (mediata) del Delegato Spanò (non a caso, qui, una donna, “la prima donna delegato della nazione”); ma l’indossare il berretto a sonagli della pazzia è solo una sconfitta apparente, perché quel berretto diviene uno strumento di libertà, come è apparente la sottomissione di Caterina ne “La bisbetica domata” di Shakespeare.
O forse no. E’ sconfitta e basta. La risposta allo spettatore perché non esistono risposte assolute, perché nulla è (mai) assoluto.
FULVIO ROMEO |
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